La giustizia delle piccole cose non funzione
giustizia che non funziona ed assolutismi
#FILOSOFEGGIANDO#SOCIETÀ#PERSONALE#POLITICA
3/14/202510 min leggere
Durante un sopralluogo in un'area di lavoro, situata accanto a un edificio di case popolari, un gruppo di anziane signore, residenti nello stabile, si lamentava delle condizioni fatiscenti dell'immobile, denunciando infiltrazioni, muffe e un generale stato di degrado.
A ciò si aggiungeva un forte senso di insicurezza, dovuto ad attività illecite condotte da uno dei condomini. Nonostante le numerose segnalazioni ad ACER, al Comune, alla Polizia Municipale e alle Forze dell'Ordine, la situazione rimaneva immutata. Di fronte alle mie richieste di spiegazione - trovavo assurdo che nessuno intervenisse - le signore mi hanno ringraziato semplicemente per averle ascoltate, concludendo sconsolate che avrebbero provato a rivolgersi al Gabibbo.
Era evidente che non possedevano né le risorse economiche né la forza emotiva per intraprendere un'azione legale. Il ricorso alla giustizia non era immediato, le regole erano incerte e l'azione richiedeva l'intermediazione di un professionista costoso, prospettando comunque un iter lungo e incerto. L'ultima speranza era che l'attenzione mediatica, attraverso la gogna pubblica imposta dalla stampa scandalistica, costringesse le autorità a intervenire. Ho trovato questa situazione estremamente inquietante.
L'impossibilità di ottenere giustizia finisce per alimentare una disillusione collettiva, un sentimento di sfiducia che erode il tessuto sociale e favorisce il dilagare di populismi e assolutismi. Tutti i regimi autoritari nascono come reazione a sistemi corrotti, in cui i cittadini si sentono abbandonati dalle istituzioni che dovrebbero proteggerli.
Il ragionamento teorico di fondo, forse un po' semplice e banale, ma molto vero e profondo secondo me, attivato anche da questa esperienza, è il seguente: quando le persone subiscono piccoli torti e non ottengono giustizia tramite i canali "istituzionali", si sentono abbandonate dallo stato. Questa mancanza di risposte porta a una percezione di impunità, l'idea che i "furbi" - o i "potenti" - la facciano franca, mentre i "cittadini onesti" - e noi tutti, salvo poche eccezioni, ci sentiamo in questa categoria, ovviamente - sono ignorati.
Questo mina la fiducia nella capacità della giustizia "istituzionale" e la frustrazione accumulata si trasforma in risentimento verso le istituzioni statali stesse e, per estensione, verso l'intero sistema politico.
Volendo elevare un po' il discorso, si potrebbe fare riferimento al concetto di "contratto sociale" di filosofi come Hobbes, Locke e Rousseau.
In sintesi: i cittadini cedono parte della loro libertà allo Stato in cambio di protezione e giustizia. Quando lo Stato non adempie a questo compito, il contratto sociale si rompe, portando a disordini e radicalizzazione. In sintesi, le conseguenze sono due: da una parte la mancanza di fiducia nella giustizia ufficiale può spingere le persone a farsi giustizia da sole, dall'altra, l'assenza di una giustizia efficace alimenta il sostegno a politiche di giustizia sommaria.
Non riuscendo a punire chi delinque, si punisce il gruppo – debole- identificato “collettivamente” come colpevole. Vedasi la deportazione indiscriminata dei migranti.
I gruppi politici estremisti trovano consenso proprio in questi sentimenti di frustrazione e offrono soluzioni "alternative" al sistema istituzionale consolidato, promettendo di ristabilire l'ordine e la giustizia. Si pensi al caso Georgescu di questi giorni, o all'ormai consolidato sistema Orban, ma anche, in casa nostra, alla Lega di Salvini o a Fratelli d'Italia. Tutte queste forze nascono in contrasto a un sistema istituzionale percepito come lontano, poco efficiente, corrotto, incapace di agire contro i colpevoli, facilmente identificati come i diversi: immigrati, minoranze etniche, ecc.
Una volta innescato il processo, questo, come una valanga, si autoalimenta: la polarizzazione rende difficile il dialogo e la ricerca di soluzioni condivise, alimentando ulteriormente la radicalizzazione.
Il problema è molto ampio e articolato, e per non andare troppo oltre le mie competenze, vorrei concentrarmi su un aspetto, magari solo marginalmente inerente al primo esempio.
Intendo concentrarmi su tutti quei casi di piccolo contenzioso, situazioni in cui, pur essendoci un dolo accertato o comunque un comportamento al limite della legalità da parte di una delle parti, la possibilità di ottenere giustizia è compromessa dai costi e dai tempi del procedimento. Situazioni in cui il danno economico non è enorme in valore assoluto - ma può essere significativo per chi lo subisce - e soprattutto corrisponde a un danno "emotivo" molto più rilevante di quello economico. Penso ai contenziosi con artigiani, ai contratti telefonici ai limiti della truffa, ai piccoli incidenti stradali, ai contenziosi in ambito lavorativo professionale.
È, a mio parere, il tipo di conflitto più diffuso, quello a cui tutti sono soggetti trasversalmente, a prescindere dalla condizione sociale o dal contesto di appartenenza. Ovvero, che non riguarda solo categorie emarginate e che quindi, in definitiva, muove maggiormente l'opinione pubblica. L'esperienza diretta di reati veramente gravi compiuti da extracomunitari penso sia piuttosto rara per la maggioranza, ma l'esperienza di piccoli comportamenti fuori dagli standard sociali a noi comuni è sicuramente un'esperienza condivisa dalla maggioranza. La cartaccia buttata, il tono della voce alto, il cattivo odore, i diversi orari, il diverso rapporto tra i sessi, il diverso stile educativo con i bambini, ecc.
È il piccolo disagio che muove le masse, quello che sembra confermare i pregiudizi diffusi, confermando che, sì, è colpa dei migranti la delinquenza, che il danno più grosso, quello visto sul video social, è davvero dietro l'angolo. Ecco perché partire dal risolvere quelli che paiono problemi piccoli può avere un'enorme importanza sul piano politico.
Parto da un esempio personale: durante i lavori di ristrutturazione di casa mia, l'impresa esecutrice, con la quale avevo stipulato un regolare contratto (caso particolare perché ero sia progettista e direttore lavori che committente) era inadempiente rispetto ai termini contrattuali fissati riguardo i termini temporali di esecuzione delle opere e per la risoluzione del contratto chiedeva la corresponsione di somme maggiori rispetto a quelle dovute per i lavori svolti. La programmazione economico/finanziaria dei lavori era legata alla possibilità di fruire dei bonus fiscali in quel momento presenti, aventi scadenza ravvicinata, poi più volte prorogata, ma questo al tempo non era prevedibile.
L'avvocato interpellato, pur confermando la nostra piena ragione, ci ha sconsigliato di procedere con una causa e trovare piuttosto un accordo bonario, in quanto i tempi della causa stessa avrebbero impedito una prosecuzione dei lavori, il cantiere sarebbe dovuto rimanere fermo per la durata del processo, inficiando dunque la possibilità di fruire dei bonus, quindi di fatto arrecando un danno sicuro potenzialmente maggiore di un risarcimento incerto. La conclusione è stata quella di corrispondere comunque una somma non dovuta, arrendendosi all'inevitabilità di subire il torto, per poter rescindere il contratto e proseguire con i lavori.
In questo caso, il problema principale è che il tempo della giustizia non collima con la realtà, congelando il contenzioso in un sospeso temporale. Sospeso temporale che però non è indolore, perché oltre a protrarre la condizione di "torto subito" per la parte lesa, ha anche l'aggravio di un costo economico che verrà recuperato solo alla fine del procedimento. Anche eliminando gli aspetti psicologici evidentemente pesanti dati dal rimanere in condizione di attesa, per alcune situazioni "l'ingiustizia è statica", ovvero il danno non cambia in funzione del tempo, ma molte altre situazioni non sono così.
Ad esempio, qualora il danno riguardi l'impossibilità di fruire di un immobile, questo, oltre a deperire nel tempo, mi costringerà a pagare comunque il suo mantenimento, a pagare per un immobile sostitutivo almeno per la durata del procedimento e spese ulteriori per la sua rimessa in funzione.
Un secondo esempio: anni fa ci fu commissionato uno studio di pre-fattibilità per la ristrutturazione di una Villa in Umbria. Dopo un approfondito studio, all'interno delle conclusioni della relazione tecnica, consigliavamo al cliente di non procedere per vari motivi, tra i quali il più rilevante era che il terreno su cui sorgeva l'edificio era soggetto a rischio idrogeologico elevato. A seguito dello studio, il cliente, invece di ringraziare per aver evitato un possibile danno e corrispondere la parcella sancita da contratto, non procedendo con lavoro e progetto, decideva di non volerci pagare. Parcella piuttosto modesta, tra l'altro.
Interpellato l’avvocato, questo ci ha consigliato di trovare un accordo bonario per una somma minore, perché ancora una volta i costi di un eventuale procedimento per ottenere il pagamento dell’intera parcella, da pagare anticipatamente e solo al termine recuperabili, sarebbero stati maggiori del valore della parcella eventualmente recuperata dopo tempi inutili a coprire le spese di studio.
In questo caso il problema principale è il costo della giustizia. La necessità di intermediazione e di passaggi successivi prima di ottenere risultato è tale da non valere lo sforzo se non per ragioni di principio. Primo passaggio, consulenza del legale, secondo passaggio, lettera di ingiunzione, terzo passaggio, ottenimento del parere all’Ordine Professionale, e presentazione dell’istanza a non ricordo più che tribunale, poi arbitrato e così via, ogni passaggio corrispondente a mesi di attesa e soprattutto pagamento di cospicue parcelle, diritti di segreteria, spese di istruttoria e via così.
Ultimo caso In ultimo il processo utilizzato come minaccia. Ovvero minaccia di denuncia utilizzata non perché l’intentatore sappia di essere nella ragione, ma perché consapevole di un quadro normativo confuso, sapendo delle spese e dei tempi del processo, anche solo affrontare il processo diventa un problema grave per la controparte.
Nel settore edile spesso la controversia serve all’impresa per mettere in difficoltà il tecnico non abbastanza compiacente. Avrei tanti esempi, uno su tutti, l’impresa in evidente difficoltà economica mi chiede un’asseverazione – ambito bonus edilizi – che nell’incertezza del quadro normativo, io non voglio fare. Impresa che gira il problema sul cliente che non vuole pagare quanto richiesto. Minaccia: trovate un modo perché io possa essere pagato perché sennò vi porto tutti nella merda con me, vi denuncio e poi vedrete che qualcosa lo trovano.
Se non approvi la contabilità come voglio io fermo il cantiere. Se non modifichi il progetto come dico io fermo i lavori.
Mica dico che tutte le richieste siano ingiustificate, soprattutto con i bonus, molte imprese fidandosi dello stato hanno chiuso battente. Quindi capisco che il rischio d’impresa nel settore edile sia molto elevato e che il rischio fallimento sia sempre molto vicino con quanto ne consegue.
Quando le richieste sono ragionevoli e nascono da esigenze o preoccupazioni reali si può cercare, a proprio rischio e pericolo, una soluzione che viaggi ai confini della legalità per andare incontro alle esigenze della controparte, ma non sempre si può fare.
Dico ai limiti della legalità non perché ci siano intenti fraudolenti, ma perché spesso il quadro normativo è confuso al punto che capita che nessuno, nemmeno i consulenti legali hanno risposte certe rispetto a quale sia il corretto procedimento amministrativo. Quindi o si manda sempre tutto all’aria, c’è chi ne fa un mestiere, oppure si butta il cuore oltre l’ostacolo sperando di prenderci. Non alla cieca, ma anche dopo tanto studio assicuro che quale sia la cosa giusta da fare non sia chiara per nulla.
Capita spesso che a posteriori ci si renda conto i documenti predisposti e le procedure adottate siano stati sbagliati per una interpretazione normativa errata. Lì si pone un dilemma: integrare o correggere le carte generando altra confusione e rischiando di fare peggio o attendere la mannaia?
Il tutto, specifico, non per un utile personale, ma al contrario, mettendo a rischio se stessi per poter fare il proprio lavoro, in caso di lavori pubblici, perseguire quello che si ritiene sia il bene pubblico.
Quando le richieste sono evidentemente illegittime o irragionevoli, non c’è altra strada, si apre il contenzioso e a perderci sono tutti, in primis l’interesse pubblico, perché di fatto la giustizia non risolve, con la sua inefficienza, punisce tutti a prescindere e il punto non è più cosa sia giusto, il merito della contesa non conta più, quello che conta, che determina il vincitore alla fine, quando ormai sarà troppo tardi per tutti, è verificare chi sia stato più preciso o scaltro a muoversi tra le carte.
Così la giustizia non serve più per fare realmente giustizia, ma secondo una logica da azzeccagarbugli, continuamente nutrita dalla politica, diventa fine a sé stessa, autoreferenziale, priva di contenuti. Come una gigantesca creatura che perpetua sopruso si nutrendosi di quelli che dovrebbe difendere.
L’effetto di tutto questo è che da una parte si incentivano sistemi di rapporto quotidiani fondati su sospetto e ricatto. Tralasciando gli aspetti più estremi della questione, ovvero il ricorso a violenza e intimidazione, rimane comunque un sottofondo di reciproca sfiducia da cui nessuno è immune.
Siccome la giustizia non funziona qualora io non possa ricorrere a rapporti fiduciari, di amicizia, per procurarmi un servizio, imposterò sempre il rapporto secondo una logica di forza, che però inevitabilmente, a volte, mi troverà in posizione di debolezza, ovvero in posizione potenziale di subire torti, soprattutto se il mio presupposto sia comunque quello di mantenere un atteggiamento di correttezza.
Viceversa, chiunque abbia un intento fraudolento potrà perpetrarlo impunemente, ovvero si troverà sempre in una posizione di forza confidando nella inefficienza della giustizia.
Esempio pratico: se non mi paghi tutto in anticipo non ti finisco il lavoro, piuttosto che finchè non mi finisci tutto il lavoro e anche qualcosa di più non ti do in euro. L’artigiano onesto con il cliente disonesto fallirà per il lavoro non pagato, il cliente onesto con l’artigiano disonesto sarà costretto, in un modo o nell’altro, a sostenere spese maggiori per riuscire a concludere i lavori.
Le relazioni ed il tessuto sociale si sfilacciano e l’assenza di una giustizia efficace incentiva fortemente il sostegno a politiche che introducano sistemi di “giustizia” sommari, extra giudiziali. Stesso esempio non riuscendo a punire efficacemente i pochi che delinquono si opta per una deportazione di massa di tutti i migranti.
Conosco troppo poco “l’architettura” della giustizia italiana per poter giudicare, ma mi sembra che se da una parte ci siano le già citate tentazioni populiste, dall’altro spesso ci si perda nell’accademia, tralasciando la realtà, ovvero che si abbia come obbiettivo quello di puntare alla perfezione del procedimento e della sentenza, rendendo la giustizia, nel pratico, inaccessibile per la maggioranza.
In un caso analogo, a quello della parella, accaduto lavorando nel Regno Unito, il problema si è risolto in due settimane: è stato sufficiente minacciare il cliente di ricorrere alla Small Claims Court. Questa, senza necessità di ricorrere adi intermediari, per pochi pounds, dopo aver inoltrato una modulistica sintetica e facilmente compilabile da chiunque avrebbe emesso sentenza vincolante in poche settimane. Il mancato rispetto della sentenza avrebbe costituito reato, con gravi conseguenze per l’inadempiente e le spese di procedimento sarebbero state ulteriormente alla parte “condannata”.
Cercando in rete ho visto che un istituto simile è stato istituito per alcune piccole controversie transfrontaliere, fino a 5000 euro di valore tra soggetti appartenenti a stati differenti dell’unione europea. Sarebbe da approfondire.
Questa giustizia forse è meno precisa ha però il vantaggio di essere efficace e fruibile da parte di tutti. E una giustizia che funziona è già di per sé un elemento di deterrenza da una parte e di affezione verso le istituzioni dall’altra.
Ci saranno molte imprecisioni nei racconti che ho fatto e non ho la competenza per fornire soluzioni tecniche adeguate, forse qualcosa in più andrebbe mutuato dal sistema anglosassone, meno burocratico e più fondato su una responsabilità personale degli esercenti l’autorità giudiziaria. Anche in questo ci sono pro e contro.
Ritengo che però sia necessario e urgente interrogarsi su come modificare i sistemi di applicazione e fruizione della giustizia “quotidiana” perché il già malandato "patto sociale" non si rompa del tutto.
Sicuramente serve un quadro normativo più semplice e snello che permetta di comprendere le leggi anche per chi non è specialista, che consenta alla giustizia di concentrarsi sul merito delle questioni e non sugli aspetti formali.
Allo stesso tempo serve un’architettura della giustizia - forse differenziando i procedimenti per “gravità” del contenzioso o del reato o per tipologia individuando procedimenti snelli per le casistiche più diffuse - che anche a costo di sacrificare un po’ di precisione consenta di avere possibilità di accesso meno intermediate, tempi e costi accessibili a tutti.
Cercasi precisazioni e proposte.